Con queste parole il Celano, nella sua celebre guida della città di Napoli (1692), esprime tutto il suo stupore e l’ammirazione per l’apparato decorativo che, con la sua ricchezza e con la sua smagliante inventiva, fa della chiesa uno degli interni più suggestivi ed emozionanti del barocco napoletano.
Indice dei Contenuti
San Gregorio Armeno: la storia
San Gregorio Armeno: la chiesa
San Gregorio Armeno: il chiostro
San Gregorio Armeno: Storia
Nel tratto mediano dell’antica via S.Ligorio, sull’area di un probabile tempio pagano, nei pressi di piazza San Gaetano, l’antico Foro della città greco-romana, sorge il complesso conventuale di San Gregorio Armeno.
Fra botteghe di artigiani, le quali nel periodo natalizio espongono le famose statuine presepiali, laboratori di restauro di mobili e statue antiche un ombroso atrio immette nella chiesa di San Gregorio Armeno.
Questa fu costruita, nel suo attuale impianto, nel 1574 da Giovan Battista Cavagna, ma la fondazione del convento risale a molti secoli prima.
Le prime suore giunsero a Napoli poco dopo il 726 provenienti da Costantinopoli dove l’imperatore Leone III aveva emanato il decreto con il quale proibiva l’espiazione e il culto delle immagini sacre. Fulvia Caracciolo, una suora vissuta nel convento dal 1541, nelle sue Memorie fa risalire la fondazione del monastero all’anno 930. In questa cronaca, di fondamentale importanza non solo per la chiesa ma anche per la vita ed il costume nei monasteri di rito orientale a Napoli, apprendiamo che l’organizzazione spaziale della primitiva struttura avvenne, appunto, secondo il rito orientale il quale prevedeva la costruzione della chiesa all’interno del convento stesso.
San Gregorio Armeno: Chiesa
Quando in seguito ai dettami della Controriforma fu necessario, non senza resistenze da parte delle suore, costruire una chiesa con accesso diretto dalla strada, si ebbe una vera e propria rifondazione di tutto il complesso conventuale. Già nel 1009 il monastero di S.Pantaleone, fondato da Stefano III, vescovo e duca della città nella seconda metà dell’VIII secolo, era stato aggregato a quello di S.Gregorio. I due conventi erano stati allora uniti da un cavalcavia, costituito nel XVIII secolo dall’attuale campanile che attraversa la strada. Tracce dell’antico convento di S.Pantaleone sono ancora oggi leggibili nelle strutture abitative di fronte al monastero di S.Gregorio.
Il Cavagna, incaricato della costruzione della nuova chiesa, progettò un’unica aula in cui alte paraste corinzie spartiscono, su ogni lato della navata, cinque profonde cappelle.
L’abside rettangolare, direttamente legato alla navata, senza cioè il passaggio del transetto, è coperta da cupola. Tutta la struttura, nella sua spazialità, risponde ad uno schema tipologico molto diffuso nell’architettura napoletana del XVI secolo.
La chiesa, nel suo funzionamento, doveva rispondere alle esigenze di vita monastica delle suore che intendevano continuare la loro scelta di clausura.
L’architetto, allora, avendo costruito la chiesa con l’ingresso direttamente sulla strada dovette, contemporaneamente, consentire alle suore di poter seguire i riti religiosi senza essere viste. Questo spiega la presenza del grande ambiente che copre l’atrio di ingresso e che funge da coro. Il notevole numero di religiose presenti nel convento costrinse, in un secondo tempo, ad ampliare ancora il coro che su allora alloggiato su un piano superiore, rispetto al primitivo ambiente, e messo in comunicazione con la chiesa attraverso una serie di sfondamenti del soffitto.
Nel secolo XVIII le suore iniziarono un programma di radicale rinnovamento del convento e della chiesa. La struttura cinquecentesca fu rispettata ma le mura, gli archi ed ogni spazio libero furono ricoperti con affreschi, ori, stucchi in un programma figurativo che consentiva un raccordo con lo splendido e ricchissimo soffitto in oro e verde in cui si inseriscono i dipinti di Teodoro d’Errico.
Il rinnovamento decorativo non fu eseguito in maniera uniforme ma gli elementi più ricchi, per disegno e per materiali impiegati, ben si legano alla più antica decorazione creando, comunque, un insieme di singolare suggestione.
Il bell’altare maggiore a tarsie marmoree (1682), costruito su progetto di Dionisio Lazzari, resta l’opera di prestigio di un grande architetto, mentre quelli laterali riflettono la capacità tecnica e l’inventiva dei bravi marmorari, testimoni di una ricca tradizione locale.
Tutti gli elementi aggiunti nel corso della trasformazione barocca, rimandano a un mondo di artigiani i quali, nelle loro botteghe, tramandano una cultura figurativa ed una perizia di esecuzione che caratterizzano le arti minori del barocco napoletano.
Così la bella raggiera del comunichino, opera di Giuseppe Pollio, o i ricchi organi che invadono scenograficamente lo spazio delle ultime cappelle, creano quell’insieme irripetibile per ricchezza di ornato e per perfezione che fanno della fabbrica una delle più significative realizzazioni del Seicento napoletano, giustificando in tal modo anche le parole del Celano.
Nel corso del programma di radicale trasformazione della chiesa intervenne anche Luca Giordano il quale, intorno al 1679, sulla parete interna dell’ingresso, dipinse i monumenti più importanti della storia di questa comunità religiosa.
Allo stesso autore si devono anche i rovinatissimi affreschi della cupola.
Nelle cappelle, in cui balaustre e cancelli riprendono temi abituali di questa lunga stazione barocca, alcune tele di Pacecco De Rosa (I cappella destra Annunciazione1644), di Antonio Sarnelli (II cappenna destra San Pantaleone), di Francesco Fracanzano (III cappella destra il Santo gettato nel pozzo; il Santo invocato dal re Tiridate perché gli restituisca la forma umana; IV cappella sinistra San Benedetto) di Nicola Malinconico (IV cappella destra Madonna del Rosario) e di altri, costituiscono un insieme pittorico di notevole importanza per la cultura figurativa napoletana di questo secolo.
Anche il convento, il quale nella cappella dell’Idria conserva, forse, le tracce dell’antica organizzazione monastica, subì alcune trasformazioni. Rifatto da Giovan Vincenzo della Monica (1644) fu restaurato e completato da dionisio Lazzari (1682).
San Gregorio Armeno: il Chiostro
Il chiostro con la bella fontana settecentesca, con le statue del Cristo e della Samaritana, opera di Matteo Bottiglieri (1733), conserva intatto il fascino di questi antichi e più nascosti spazi dei conventi napoletani in cui l’orto, la cisterna e i pergolati ci ricordano le occupazioni quotidiane della comunità.
Nel XIX secolo un’altra suore, Enrichetta Caracciolo, appartenente, quindi, alla stessa famiglia di Fulvia, in una sua pubblicazione rievoca la vita di clausura del convento descritta nella sua immutata realtà. In queste pagine, rese con acuto spirito di osservazione, a volte con accento critico o con consapevole umorismo, suor Enrichetta ci restituisce la viva testimonianza di un mondo, fatto di rinunce e di malinconia, così lontano dalla nostra cultura moderna.